Sciopero per l'intera durata di ciascun turno di lavoro, su tutto il territorio nazionale dei dipendenti Rai e presidi di fronte alle sedi regionali (dalle 10 alle 13 ca in tutta Italia, a Roma in via Teulada) contro il taglio di 150 milioni previsto dal DL 66/2014. A indire la giornata di mobilitazione sono le sigle sindacali di categoria Slc Cgil, Uilcom Uil, Ugl Telecomunicazioni, Snater, Libersind Conf Sal.
Quattro almeno i punti salienti della protesta, sintetizzati nel volantino comune: il prelievo di 150 mln di euro mette a rischio il servizio pubblico e la tenuta occupazionale, non elimina sprechi o inefficienze che pure esistono, che abbiamo denunciato per primi e contro i quali lottiamo da tempo; la pretesa di 150 mln di euro, quando lo Stato è in debito verso la RAI di oltre un miliardo è solo un metodo illegittimo per prelevare soldi dalle tasche degli abbonati; scegliere di fare cassa attraverso la (S)vendita di RAI WAY colpisce al cuore l’azienda così come è avvenuto per troppe grandi aziende italiane, favorirà la privatizzazione del profitto, scaricando inevitabilmente le perdite sulla collettività; lo squilibrio dei conti che deriva dalla richiesta dei 150 mln di euro sta già producendo effetti sull’occupazione: dal blocco delle stabilizzazioni dei precari all’annunciato ridimensionamento degli organici.
“In questo modo si altera il mercato, si indebolisce la più grande azienda culturale del Paese e, inevitabilmente, si favoriscono i concorrenti – ricordano i sindacati. Il servizio pubblico è un bene comune che va liberato dal controllo di Partiti e Governi.”
“Il contributo più importante che la RAI può e deve offrire al Paese è legato ad una vera riforma che investa sulla qualità dei prodotti culturali, concludono i sindacati. Una Rai libera da sprechi, mega consulenze, super stipendi ed appalti inutili. Tutte voci, queste, non intaccate dalla richiesta di 150 mln di euro. L’altra RAI, quella colpita, è quella dei “titoli di coda”, fatta da quegli stessi lavoratori che beneficiano degli “80 euro” in busta paga e che oggi rischiano il proprio posto di lavoro.”