Si pubblica l'intervento della segretaria nazionale Emanuela Bizi all'incontro Buone pratiche organizzato da Ateatro dal titolo: "Nuovi spazi, nuove creatività, nuove professioni, nuovi pubblici."
Ho ascoltato con molto interesse gli interventi e mi chiedevo come può conciliarsi il diritto di chi lavora con l'obiettivo di far crescere nuove esperienze multisciplinari, esperienze nuove di coabitazione e collaborazione, presidi di spazi. Credo che questo "movimento" rappresenti bene i cambiamenti che stanno attraversando la nostra società. Il lavoro in senso classico sta diminuendo, l'industria 4.0 ridurrà i posti di lavoro. Nuovi lavori, diversi, molte volte realmente autonomi nascono, siamo tutti sempre connessi, il lavoro entra nel privato. L'occupazione si riduce nel settore industriale e cresce in quello dei servizi. Ma anche dal punto di vista sociale la nostra società e' attraversata da profondi cambiamenti: aumentano le diseguaglianze e le povertà, si affacciano nuove necessità, ad esempio quelle dei migranti, cresce il bisogno di integrare, includere, dare prospettiva. Il ruolo dei teatri, dei festival, delle molte e diverse esperienze che ho ascoltato oggi e' proprio quello di agire su questi bisogni.
Le esperienze raccontate sono importanti, lavorare sul disagio, andare verso il pubblico è davvero importante, soprattutto ora che è necessario intercettare le nuove richieste: i giovani chiedono altro rispetto agli adulti.
Ma da sindacalista devo interrogarmi su come si riconosce i diritti ai lavoratori, anche in questi contesti. Credo che la soluzione si trovi nell'individuare chi e' professionista e chi no. Bisogna scindere il volontariato, l’amatoriale dal professionismo. Anche questi hanno dignità, ma come diversi interventi hanno evidenziato, la qualità è l' elemento che consente a queste realtà di sopravvivere. Ma, poiché le risorse pubbliche e private, sono l'elemento che permette a questi professionisti di avere un lavoro dignitoso, devo dire che non sono proprio d'accordo con questa "rassegnazione" che si percepisce quando parliamo delle risorse pubbliche. L'Italia e' fanalino di coda per lo stanziamento di fondi all'istruzione e alla cultura. Non esiste un coordinamento delle risorse pubbliche, tra FUS e fondi locali. Ogni regione, ogni comune fa come vuole, e c'e' il problema dei fondi (perduti) delle provincie. Inoltre, se i contenuti prodotti finiscono sul web, e queste grandi imprese non pagano le tasse in Italia e non pagano o pagano poco gli autori dei contenuti e il diritto connesso, non e' anche questo un fattore che ci permette di dire che se c'e' una volontà politica si può cambiare radicalmente l'attuale condizione? Credo inoltre che ci sono molti modi per finanziare ed agevolare l’attività dello spettacolo dal vivo.
Anche sul lavoro e' necessario fare un salto culturale. La Cgil ha racconto un milione e 150 mila firme per una proposta che vuole ampliare la sfera dei diritti al lavoro, estendendoli anche a quello autonomo. Proprio per quanto dicevo prima non si può ora pensare di dare diritti solo la lavoratore subordinato. E' un salto avanti che noi abbiamo fatto, ma e' necessario che lo facciano tutti, anche le nostre controparti. E' singolare che al rinnovo del Contratto delle compagnie ci siano dall'altra parte del tavolo i teatri e non le compagnie, che ci propongono un contratto che guardi solo ai lavoratori subordinati. E' uno schema novecentesco. Noi pensiamo che quel contratto deve dare diritti anche alle partite iva. In Italia non esiste l’equo compenso. Ora in Parlamento si discute di una legge che darà alcuni diritti anche ai lavoratori autonomi ma i riferimenti della legge sono la gestione separata INPS, quindi i nostri sono esclusi. Includere diritti nel contratto diventa pertanto fondamentale. Sono piuttosto preoccupata dell'attuale situazione per quanto riguarda gli artisti. In troppi hanno redditi insufficienti, l'INPS dice che a fronte delle 120 giornate richieste per maturare un anno di contribuzione, la media degli attori e' 90 giornate e ancora meno per i musicisti. Dice anche che la pensione media di vecchiaia e' di 980 euro. E' per questo abbiamo deciso di promuovere una ricerca che termina in questi giorni. Con i dati raccolti vogliamo raccontare la vera condizione degli artisti, in un Paese che li immagina tutti ricchi, mentre anche le istituzioni non li percepiscono come lavoratori: e' diffusa, anche da soggetti pubblici la richiesta rivolta agli artisti di lavorare gratis.