Non parlerò della proposta delle organizzazioni sindacali, il tempo è poco, dico solo che il sistema dello spettacolo ha bisogno di attenzione, e i voucher non sono attenzione ma uno strumento sbagliato rispetto ad una necessità.
L'attuale fase storica vede la rinascita dei nazionalismi e dell'individualismo esasperato che giunge fino alla negazione della rappresentanza.
Il significato di identità va assumendo una connotazione negativa.
L'identità diventa il muro, la chiusura verso l'estraneo che viene visto come aggressore.
Eppure l'identità e' quella che permette all'individuo di riconoscersi in un contesto: io diverso da te, io nella mia famiglia, nella mia città, nel mio Paese, in Europa, nel mondo.
Perchè inizio da qui?
Perchè in questi pochi minuti voglio provare a dire perchè gli artisti siano un "bene" che deve essere tutelato, come si tutela Pompei.
Gli artisti con il loro lavoro esprimono l'idea identitaria e la coscienza critica.
Proprio nell'espressione artistica, sia essa la danza, la recitazione o la musica, lo spettatore, l'ascoltatore si riconosce, legge il suo essere nel contesto, il suo sentirsi cittadino.
E' principalmente per questo che lo Stato deve sostenere e facilitare la produzione degli spettacoli, della musica, la contaminazione dei generi, la tradizione e la ricerca, la loro diffusione. Questo, assieme ad una corretta sinergia con l'istruzione dei cittadini, crea un pubblico competente. Il professor Trimarchi afferma che il pubblico e' l'unico che puo' decidere se uno spettacolo ha valore, se e' "bello".
Ma l'abbassamento generale del livello culturale dimostrato anche dai dati sulla lettura e sulla fruizione dello spettacolo in Italia, dovrebbe aprire una grande discussione nel Paese sul ruolo del sostegno pubblico a questi settori, ora che si prova a discutere di una legge per lo spettacolo dal vivo.
Non si può ignorare che la crisi ha colpito duramente il reddito della gran parte degli italiani e il fatto che negli ultimi anni si sta accentuando la concentrazione della ricchezza mentre aumentano le povertà.
Il Fondo Unico per lo Spettacolo non e' sufficiente e le OO.SS. hanno proposte per incrementare le risorse, ma e' necessario che lo Stato riconosca il valore della produzione culturale rispetto al PIL (ad esempio: la formazione continua del lavoratore necessaria ad un mercato del lavoro che chiede continuamente nuove competenze mentre muoiono vecchi mestieri come si concilia con l'analfabetismo di ritorno che riguarda larghi strati di lavoratori?).
Poichè le risorse pubbliche sono direttamente legate alle condizioni di lavoro di operatori ed artisti che operano nello spettacolo il tema della quantità e della distribuzione diventa centrale. E' lo stesso Osservatorio del Ministero che certifica la cattiva ripartizione delle risorse ministeriali.
Sono poche e mal distribuite quindi. La maggior parte dei finanziamenti si concentra nelle regioni del Centro Nord.
Dalle nostre analisi il 2015 rispetto al 2014 vede aumentare i finanziamenti alle regioni Lombardia, Toscana, Liguria, Abruzzo e Sicilia, mentre cala il Friuli Venezia Giulia, la Val d'Aosta, la Basilica, la Puglia, la Campania, le Marche e l'Umbria.
La Calabria e Molise erano e restano un deserto. Le risorse regionali e comunali sono generalmente in calo e operano in autonomia rispetto al Fus.
Per chiudere: per la legge dello spettacolo vanno trovate le risorse come sono state trovate per la legge cinema. Lo stato deve riconoscere al comparto il valore, non solo economico che sviluppa, rendere certe le risorse pubbliche, deve facilitare la distribuzione.
Riconoscere la professionalità dei lavoratori dello spettacolo, rendendo il loro lavoro dignitoso, facendo emergere il lavoro nero che e' diffuso anche per la mancanza di regole che si adattino al comparto.
Intervento di Emanuela Bizi, segretaria nazionale Slc Cgil a Brescia all'iniziativa di CReSco per la legge dello spettacolo.