Con la legge 14 dicembre 2017, n. 124, lo Stato italiano ha recepito la Direttiva Barnier sulla gestione collettiva del diritto d’autore nel senso di un superamento dell’esclusiva della SIAE. Abbiamo già osservato come non fosse necessario né opportuno aprire al mercato quella che è intermediazione di diritti di rango costituzionale, per definizione sottratti alle logiche del profitto. Abbiamo espresso il timore che molti repertori vengano trascurati o abbandonati, perché non appetibili economicamente, insieme a tutta l’attività di vigilanza e controllo (per definizione non remunerativa) e di promozione “a perdere” della cultura. Abbiamo ricordato come una sentenza europea successiva alla Direttiva abbia sancito la legittimità dei monopoli legali, e nelle proprie motivazioni e conclusioni ne abbia elogiato gli effetti, dei quali l’Europa gode in virtù di una situazione diffusa di monopoli di fatto consolidati.
Abbiamo fatto notare che oggi basta soddisfare il requisito della forma associativa per operare a fini di lucro, senza quelle economie di scala cui SIAE ha sempre fatto ricorso per tutelare repertori non remunerativi quali la musica lirica, l’arte contemporanea, il jazz, la reprografia, il diritto di pubblica lettura, le arti grafiche e visive, il folk, buona parte del cinema e tutte le forme artistiche di nicchia e d’avanguardia. Abbiamo denunziato il pericolo che il diritto d’autore cada nel caos che ha già caratterizzato il settore dei diritti connessi, quelli degli artisti interpreti ed esecutori, liberalizzato nel 2012 ed ancora in preda ad un contenzioso giudiziario che ha visto più volte “congelate” le somme raccolte.
I nostri timori non erano vani.
La novità dell’ultim’ora è infatti che un grande utilizzatore professionale ritiene di motivare i propri ingenti debiti nei confronti degli autori, dei quali utilizza le opere senza remunerarle, con la necessità di una concorrenza nel settore ed inaugurando una sorta di “sciopero ideologico” del pagamento dei diritti.
Sfugge a quell’utilizzatore che la concorrenza esiste in Italia dall’entrata in vigore della legge 124, e nella pratica dal gennaio di quest’anno, quando l’AGCOM ha autorizzato ben dodici società di collecting ad operare in Italia in concorrenza tra loro. A noi sfugge il senso della accelerazione invocata: stabilito il principio di concorrenza, si pretende che gli oltre ottantamila iscritti all’ex monopolista vengano spinti ad associarsi alle nuove collecting per soddisfare la voglia di varietà di quell’utilizzatore, ignorando le leggi di mercato invocate sino a ieri. È per noi del tutto ovvio che la concorrenza saranno gli autori e gli editori a determinarla con la libera scelta degli organismi cui vorranno affidare la propria tutela, e se a frotte non sono già corsi in direzione delle nuove società un motivo ci sarà, forse rinvenibile nel livello dei servizi e di affidabilità offerto. Siamo all’assurdo di un operatore nel sistema liberista, che non riesce a prevalere sul mercato o a godere quanto vorrebbe della concorrenza che ha preteso e chiede l’intervento dello Stato a supporto: il paradosso di un sistema di libero mercato con correttivo di garanzia per le imprese insoddisfatte, insomma.
L’iniziativa dell’utilizzatore, ed il risalto e la grancassa che le sue tesi ottengono nel settore dell’informazione (anch’egli è un quasi-monopolista del settore), sono in realtà tese ad ottenere dal prossimo legislatore che in Italia possano gestire il diritto d’autore addirittura gli imprenditori, ovvero soggetti aventi solamente scopo di lucro e totalmente privi di base associativa e di organi decisionali composti da autori, che ne determinino le scelte nel senso della tutela di tutte le opere piuttosto che del profitto su quelle selezionate. In questo nuovo sistema liberista, infatti, non vi è alcun obbligo di associare e tutelare un autore che ne faccia richiesta, come invece è sempre avvenuto per quanto riguarda l’Ente pubblico SIAE. Ad ognuno il proprio mestiere: non è evidentemente dagli imprenditori che ci possiamo aspettare una gestione generalista e solidaristica, quella voluta fortemente da Verdi e Carducci all’atto della fondazione del diritto d’autore in Italia.
In realtà la Direttiva ha inteso mantenere le garanzie di una gestione governata dagli autori e dagli editori, e nell’individuare gli imprenditori (denominati “entità di gestione indipendente”) quali soggetti deputati ad operare nel settore, non ha reso loro praticabile l’attività diretta di collecting. Gli imprenditori non sono destinatari di compiti e raccomandazioni e nella pratica viene loro riservata l’attività svolta per effetto di singoli accordi di intermediazione e rappresentanza, atti a stabilire regole e requisiti che la Direttiva non fissa. Secondo la Direttiva, un imprenditore non ha obblighi di rendicontazione nei confronti dei propri iscritti e non può imporre regole agli utilizzatori. Sono richiesti ai soli organismi a base associativa i requisiti, assolutamente indispensabili per la gestione del diritto d’autore, di cui agli artt. da 4 a 36 della Direttiva stessa: addirittura, l’art. 36 non include gli imprenditori nel controllo delle “competenti autorità” di ciascun Stato membro (in Italia tuttora, per la SIAE, l’AGCOM, il Mibact, l’ANAC e la Presidenza del Consiglio). La gestione diretta del diritto d’autore ad opera di un imprenditore risulta dunque iniqua ed impraticabile, oltre che contraria a tutte le regole di trasparenza e buona gestione che sono il fondamento della Direttiva stessa.
Riteniamo poi che l’ingresso degli imprenditori possa facilmente portare ad una sostanziale identità tra collecting ed utilizzatori professionali, che imprenditori già sono e potranno (in modo palese o mascherato) esercitare una attività di gestione del diritto d’autore in conflitto assoluto di interessi. Tale identità rappresenta un grave pericolo anche per l’indipendenza degli autori, perché sarà facile per l’utilizzatore-gestore pretendere l’associazione alla propria collecting per la regolare remunerazione delle opere, o favorire le utilizzazioni per gli artisti dei quali avrà in gestione i diritti. E cosa succederà se l’utilizzatore- gestore sarà anche editore, ed il caso non è inventato? Un simile potere assoluto, di determinare la presenza sul mercato in funzione della gestione dei compensi e viceversa, rappresenta una distorsione gravissima delle finalità della Direttiva europea e non può essere consentito in uno Stato di diritto. Il grande utilizzatore che da mesi non paga gli autori, e con lui altri imprenditori dei quali è mera avanguardia, è in realtà in cerca di indebiti vantaggi e risparmi a danno degli autori, rispetto a condizioni e tariffe che sono di favore e sono state comunque concordate tra associazioni di categoria e validate dalle autorità vigilanti.
Com’è noto, SLC-CGIL rappresenta gli interessi di una quota di autori italiani e dei molti operatori e lavoratori dedicati alla gestione del diritto d’autore ed è pronta a scendere in campo a fianco degli autori che finalmente hanno deciso di difendere con forza i loro diritti. Noi non permetteremo che operazioni, del valore complessivo di centinaia di milioni, giungano a compimento nel disinteresse generale dell’informazione, della politica e spesso degli stessi artisti, che non riescono a raggiungere sufficiente consapevolezza del potere contrattuale che hanno già perso e di quello assai maggiore che rischiano di perdere. Chi parla oggi contro un’esclusiva che era garanzia e tutela per tutti, vuole in realtà affermare il proprio monopolio: il più potente e favorito, quello del denaro che tutto compra e tutto decide. Nessuno sia tratto in inganno da alte dichiarazioni di populismo spicciolo, confuso e interessato.
La Segreteria Nazionale
Produzione Culturale SLC CGIL
Emanuela Bizi
Roma, 16 aprile 2018