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La Suprema Corte di Cassazione alla data 30 gennaio 2014, ha reso nota un’importante ordinanza, la n. 2047, in merito all'irreperibilità del dipendente ammalato alla visita fiscale.
La vicenda è quella di un lavoratore dipendente in malattia, il quale ricorre in appello contro la decisione del suo datore di lavoro ( Poste Italiane), di sanzionarlo mediante la decurtazione dalla retribuzione della somma di €600 , ed un’ammonizione scritta inflittagli per non aver avvisato tempestivamente della sua assenza dal domicilio alla visita fiscale. La Corte d’Appello di Roma decide di accogliere le domande del lavoratore, riformando la decisone di primo grado.

Successivamente, Poste Italiane a sua volta decide di ricorrere in Cassazione sostenendo che:
- Il lavoratore era decaduto dal diritto al trattamento economico di malattia per il periodo di 10 giorni lavorativi, in quanto assente alla visita fiscale senza giustificato motivo.
- Lo stesso CCNL applicato prevede la medesima sanzione in caso di assenza dal domicilio senza preventiva comunicazione.

La Suprema Corte decide di dare ragione al lavoratore in quanto Poste Italiane, non contestando nel merito l’infermità da cui è afflitto il dipendente, logicamente non può mettere in discussione né l’improvviso riacutizzarsi della patologia dolorosa sofferta dal lavoratore e neppure l’indifferibile uscita di quest’ultimo dalla propria abitazione, questo infatti rappresenta il motivo dell’impossibilità sopravvenuta di comunicare tempestivamente la sua assenza all’eventuale visita fiscale.
Sono perciò evidenti le conseguenze pratiche che derivano dal dispositivo dell’ordinanza n.2047/14 della Suprema Corte: in sintesi, l’emergenza causata dal riacutizzarsi della patologia, l’assoluta necessità di recarsi immediatamente dal proprio medico curante, l’impossibilità di darne previa comunicazione al datore di lavoro, non sono considerati elementi sufficienti ad integrare gli estremi della sanzione prevista in caso di assenza ingiustificata dal proprio domicilio del lavoratore ammalato.

Scarica la sentenza: ordinanza cassazione n 2047 2014

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