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Con la presentazione del Piano di impresa 2022/2024 i vertici del Gruppo TIM hanno definitivamente scelto di imboccare la strada della “DEMOLIZIONE” del Gruppo SIP-TELECOM oggi TIM, erede dell’ex monopolista.

Il piano prevede la nascita di una società di rete ed una di servizi.

Nella società “NetCO” dovrebbero confluire l'asset di rete fissa, le attività di wholesale e la società Sparkle.

Nella società "dei servizi" di fatto ci saranno 28 milioni di clienti, a partire dal mercato dei grandi clienti "Enterprise - Top e Business", “Consumer - Retail e Small-Medium”, la “Telefonia Mobile”, tutta la gestione e sviluppo del cloud, a partire dal progetto del "Cloud Nazionale", “l’IOT - Internet delle Cose" con i progetti di smart cities, la “Cyber Security” e “Tim Brasil”.

Un iniziale “spezzatino” dove la società dei servizi, per come viene disegnata, si appresta ad essere il veicolo attraverso il quale l’azionista di riferimento “Vivendi” mira a rientrare delle perdite finanziarie fino ad oggi accumulate. Un’azienda del genere, focalizzata su queste linee di business, è particolarmente appetibile per i fondi di investimento e come base clienti per il mercato dei contenuti, campo nel quale Vivendi continua ad avere grandi interessi. Si presterebbe poi ad essere ulteriormente “spezzettata” perché attuando la valorizzazione di alcune specifiche parti di essa (Cloud, Iot, Cybersecurity) si potrebbero realizzare, nel breve e medio periodo, ulteriori ed interessanti profitti.

La società della rete, ad una prima lettura, appare del tutto svuotata dell'"intelligenza", i servizi a valore aggiunto saranno realizzati da altri. Tra l’altro è un soggetto industriale incompiuto perché sarebbe davvero folle pensare di avere nel Paese due società "wholesale only" la NETCO e la OPEN FIBER, quest’ultima a diretto controllo pubblico.

Quindi un contenitore nel quale occorrerà concentrare nei prossimi anni ingenti capitali sapendo che, una volta terminata la costruzione dell'infrastruttura in fibra, finirà per diventare di fatto un erogatore di mera connettività e di manutenzione che, con le tecnologie attuali e future, potrà essere effettuata “centralmente” con apparati e sistemi superando l’attuale configurazione che occupa migliaia di lavoratrici e lavoratori nelle capillari attività di assistenza territoriale.

Un pessimo segnale di quello che potrebbe essere il modello di società della rete unica a controllo pubblico che pure viene molto attenzionata e sostenuta dalle forze politiche che abbiamo incontrato in queste settimane.
Questa impostazione di fatto non garantisce in alcun modo che si sviluppi in maniera omogenea ed inclusiva una rete ad alta velocità, una infrastruttura univoca che possa dare un servizio paritetico all’intero Paese senza disuguaglianze geografiche e territoriali.
Tutto ciò potrà accadere perché l'implementazione dell'intelligenza della rete sarà lasciata di fatto al libero mercato ed alla convenienza che i competitor avranno nel portare servizi innovativi esclusivamente nelle aree profittevoli a discapito di quelle dove l’investimento non è commercialmente appropriato.

Si profila quindi una società che sebbene potrebbe essere a controllo pubblico non avrà prospettive di sviluppo e non risolve il problema del digital divide. Se i numeri che circolano in questi giorni sono veritieri, si parla di 25/30.000 persone che potrebbero transitarvi, una azienda che entro il 2026 avrà finito la progettazione dell'infrastruttura di base per poi limitarsi a manutenerla non tranquillizza affatto il Sindacato Confederale ed i Lavoratori sotto il profilo della tenuta occupazionale e della qualità del lavoro che dovrà svolgere. Il tutto con il peso dell’ingente debito pregresso di Tim e di quanta parte ne verrà assegnato alla nuova società di rete.

In questo contesto di discontinuità si arriva a dichiarare anche la vendita immediata dell'ultima parte di Inwit, magari domani si prospetta la cessione del Brasile e così si priverà definitivamente l'Italia di un’azienda di sistema.

Siamo di fronte ad un tentativo neanche camuffato di socializzazione delle perdite e privatizzazione degli utili con annessi e conseguenti danni alle lavoratrici ed ai lavoratori che pagheranno pesantemente i costi delle scarsissime prospettive industriali di questo progetto. Al Paese si accolleranno i costi del debito di Tim senza avere un ritorno in termini di miglioramento dell'infrastruttura e non avendo assolutamente chiaro cosa avverrà per preservare dati ed apparati legati alla sicurezza nazionale fondamentale in questo drammatico e tremendo periodo.
Basta guardare la reazione dei mercati di queste ore, la fuga degli azionisti da TIM, dove il titolo ha drammaticamente toccato i minimi storici, per capire che nessuno crede che questo progetto sia teso al rilancio del Gruppo Tim ed all'aumento del suo valore.

Di certo non aiuta l’ultimo videomessaggio dell’AD Labriola che prova a rassicurare le lavoratrici ed i lavoratori evidenziando quali dovrebbero essere i “giusti” atteggiamenti, comportamentali e di pensiero, da mettere in atto in questo delicato momento.
Un arduo esercizio realizzarlo in un mondo globalizzato dove, tra l’altro, le molteplici fughe di notizie date in pasto alla stampa, non arrivano certo da NOI!
Per le altre esternazioni ci preme sottolineare che i lavoratori hanno da sempre seguito ed applicato le indicazioni dei vari dirigenti passati ed attuali, a noi è chiarissimo che il “CLIENTE” è centrale, lo abbiamo dimostrato nelle tante riunioni e commissioni nelle quali il sindacato confederale si è “sgolato” non solo di dirlo ma anche di proporre correttivi migliorativi!
Non è certo con l’invito di “stringersi a corte” ai dipendenti, che non hanno mai fatto mancare il loro apporto che si risolveranno i problemi del Gruppo TIM, che oggi più che ieri, appaiono strutturali e non certo motivazionali!

Esistono poi delle opacità su alcuni importanti comparti dell'attuale Tim che nel piano presentato non trovano una collocazione chiara. Pensiamo al Caring naturalmente, compresa Telecontact, (circa 8.400 dipendenti), all’informatica strutturale e funzionale di TIM, oltre alla parte che non è confluita in Noovle (circa 2.000). Al di là di assicurazioni generiche non si capisce affatto in quale contesto opereranno e che prospettiva avranno.

Nel complesso il piano presentato realizza in pieno le peggiori previsioni circolate in questi giorni e che noi, SLC CGIL_FISTEL CISL_UILCOM UIL_avevamo ampiamente “denunciato” alle prime indicazioni, che seppur sommarie, si erano paventate.
Appare fin troppo evidente la volontà di "preparare la dote" per il socio francese e lasciare al Paese la gestione di tutte le contraddizioni di questa impostazione. Nel contesto del possibile consolidamento delle TELCO a livello europeo l’Italia rischia di non avere alcuna voce in capitolo perché ha svenduto il campione nazionale delle telecomunicazioni.

In questi giorni stiamo incontrando i rappresentanti dei maggiori partiti politici: registriamo a parole una generale convergenza sui nostri temi e questa dovrebbe essere una buona notizia. Poi però dobbiamo constatare come il Governo continui a tacere sull'intera vicenda, inopportunamente pensando che lo scorporo della retesia la soluzione del problema al ritardo infrastrutturale del Paese.
C'è una pesantissima cappa di silenzio che anche uno sciopero ottimamente riuscito ha parzialmente aperto.

Viene da chiedersi allora quali siano gli interessi in campo. I nostri interessi sono invece chiarissimi: la difesa del lavoro, in Tim come in tutto il settore delle TLC, che passa attraverso la messa in discussione di scelte sbagliate che hanno poco di industriale e moltissimo di finanziario.

Non c'è altra strada che continuare con forza e determinazione, ad ogni livello, il lavoro di sensibilizzazione sullo scempio che si sta compiendo.

Gli azionisti ed i vertici aziendali devono avere ben chiaro che in questi anni le lavoratrici ed I lavoratori hanno fatto molti sacrifici perché hanno creduto ad un progetto di rilancio e sviluppo del Gruppo che aveva una prospettiva chiara: guida alla digitalizzazione del Paese e garanzie per i lavoratori.

Resta in piedi ogni forma di mobilitazione sia a livello territoriale che nazionale percorrendo anche l’apertura di nuove procedure per lo sciopero in modo da essere tempestivi nel rispondere ad iniziative aziendali che potrebbero avere forti ripercussioni sulle lavoratrici e lavoratori.
La vertenza è lunga e piena di incognite, questo piano prevede il taglio dei costi che sicuramente impatteranno anche sull’occupazione e sulle condizioni dei lavoratori.

Allora lo vogliamo dire con chiarezza, rispetto ad un piano industriale che distrugge definitivamente l'ex monopolista, le lavoratrici ed i lavoratori di Tim, congiuntamente con i loro rappresentanti sindacali confederali non saranno disponibili ad alcun altro sacrificio!!

NOI non ci STIAMO !!

Roma, 7 marzo 2022

Le Segreterie Nazionali
SLC CGIL _ FISTEL CISL_UILCOM UIL_

 

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