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Primo imbroglio: ai cittadini. Lo spot pubblicitario del Governo ha descritto la RAI come un luogo nel quale si annidano sprechi e privilegi dal quale estrarre 150 milioni da destinare ad un intero Paese sofferente. Per dirla con una espressione desueta, si direbbe un atto di “giustizia proletaria”. Il populismo mediatico e rampante, si sa, fa sempre un certo effetto e crea consensi. Anche perché è vero: vero che il Paese soffre come non mai; vero che in RAI ci sono sprechi e privilegi. Falso che i 150 milioni possano venire da lì, perché da lì non verranno, sicuramente non entro quest’anno e neanche entro il prossimo.
Secondo imbroglio: a quelli che il canone lo pagano. Il canone RAI è una “tassa di scopo”: una somma che gli abbonati pagano per avere un servizio. Giusto, anzi, giustissimo, discutere sulla qualità del servizio offerto in rapporto all’entità del costo dell’abbonamento. Ma dal principio non si può derogare. Nessun governo (esclusi quelli populisti) può “distrarre” quote da una tassa con destinazione precisa, per finalità diverse da quelle per cui è stata istituita.
Terzo imbroglio: al patrimonio della RAI. Siccome i quattrini non verranno eliminando sprechi e privilegi, ecco che allora si provvede a soddisfare lo spot governativo svendendo parte della rete. La RAI è una emittente e, come tale, esiste solo se ha una rete che consenta di trasmettere in tutto il territorio nazionale. Se un privato acquista una parte delle quote azionarie di RaiWay o lo fa per beneficienza (ma è abbastanza raro), o per profitto. Chi pagherà nel tempo i profitti dell’azionista privato? E qui siamo alla solita consuetudine del Bel Paese: fare cassa subito per un pugno di lenticchie e indebitare le aziende nei secoli a venire. Quanto alla dismissione delle Sedi Regionali, abbiamo detto fin da subito che ci sembrava uno specchietto per qualche allodola e che l’obbiettivo vero era la Rete. Ma abbiamo sbagliato: le allodole sono uno stormo mai visto prima.
Quarto imbroglio: ai cittadini, agli abbonati, alla RAI. Lo Stato preleva 150 milioni dal canone, ma è debitore verso la RAI di oltre un miliardo. Cioè, preleva illecitamente dei denari dalle tasche degli abbonati, ma non paga i suoi debiti verso il servizio pubblico. Se si volesse davvero bonificare questa Azienda sarebbero necessari meno spot (ma non erano finite le elezioni?) e un piano di risanamento posto in capo al C.d.A. e al Direttore Generale. E se non piacciono ne’ l’uno ne’ l’altro, si abbia il coraggio di cambiarli. Infine: in questo modo si altera il mercato, si indebolisce una delle aziende e, inevitabilmente, si favoriscono i concorrenti.
+ 1: a noi. Noi siamo il sindacato della Comunicazione della CGIL. Nome: SLC; cognome: CGIL. I nostri settori sono quelli delle Telecomunicazioni, dei Servizi Postali, dell’Editoria, della Produzione Culturale, dell’Emittenza. Avremmo piacere che nessuno avesse la sfrontatezza e la spudoratezza di venirci a fare prediche sulle sofferenze dei lavoratori italiani contrapponendoli ai “privilegiati” della RAI. E’ dal 2008 che frequentiamo ininterrottamente i luoghi istituzionali per provare a gestire al meglio gli effetti di questa crisi che ha attraversato drammaticamente tutti i nostri settori. Nessuno escluso. Noi la crisi l’abbiamo guardata in faccia attraverso i volti dei cassintegrati, dei mobilitati, dei licenziati, dei lavoratori ceduti come fossero scarti; l’abbiamo vista anche nei volti di quegli imprenditori (quelli con la I maiuscola) che si sbattevano per tenere in piedi almeno un pezzetto delle loro aziende. In quelle stanze, in quelle assemblee, in quelle lunghe trattative per salvare il salvabile, non ricordo di aver mai visto nessuna faccia di questi odierni predicatori miliardari che ci additano come portatori di interessi corporativi (loro!). Fatichiamo ancora a rinnovare i contratti per i lavoratori dipendenti. Ciò malgrado, e nonostante la crisi, abbiamo provato a dare qualche risposta anche ai meno garantiti.
Noi abbiamo promosso un’inchiesta sulla condizione scandalosa dei precari dell’editoria e dell’emittenza; noi rappresentiamo i precari e i saltuari dello spettacolo; noi abbiamo organizzato i lavoratori dei call center e abbiamo dato loro dignità e visibilità con la straordinaria manifestazione del 4 giugno. Noi abbiamo consentito, con accordi, che uscissero dalla RAI oltre 400 lavoratori più anziani in cambio di tutele crescenti per i precari: col taglio previsto, l’azienda manterrà i patti sottoscritti con noi per i precari, o dobbiamo mandarli a colazione, pranzo e cena a palazzo Chigi? E noi abbiamo agito contro la societarizzazione e lo scorporo delle rete Telecom. E tanto per recuperare un po’ di memoria a chi l’ha persa o è pagato per perderla, noi abbiamo fatto tutte le battaglie per la libertà di stampa, per la difesa del pluralismo, per la tutela del servizio pubblico; noi abbiamo scioperato (da soli) contro la gestione Masi nel luglio del 2010 e poi a dicembre con gli altri sindacati, ma senza la CISL e l’USIGRAI. (Che coincidenza!)
Sappiamo bene che un partito di Governo che piglia il 40,8% di consensi è un bel pentolone di miele sul quale affondare le dita. Ma per infilare le mani nella pentola bisogna piegarsi, sì che le schiene dritte sono diventate una rarità; o meglio, il loro numero, in generale, pare inversamente proporzionale al reddito. A proposito del quale (reddito) dopo lo sciopero dell’11 giugno, a chi vorrà, daremo conto degli stipendi dei dipendenti RAI, che così si parla di cose meno astratte e con un po’ più di concretezza. Perché capita spesso che quelli che detengono rendite di posizione non muovano mai un dito per interessi generali, ma ne parlino sempre tantissimo.
Allego la lettera inviata al Presidente della Repubblica dall’EBU, l’organismo europeo delle TV pubbliche, che ci è stata inviata in copia. Sarebbe bene leggerla. Così per sentire cosa dice chi, non per sua fortuna, ma per dignità, si tiene ben lontano dal pentolone di miele.

Scarica la lettera dell'Ebu: LetterGM_GNapolitano_ItalyPresident19May2014

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